Il presidente dell’Inghilterra di Jim Waits. Minerva Press, £13.99, pp 305. ISBN 0 75411 073 7. Valutazione: ★★
Alcuni personaggi familiari appaiono in questo romanzo, scritto da un capo esecutivo del NHS in pensione, compreso un governo “Democratico Laburista” che entra in carica dopo i conservatori sotto la Thatcher e Major, un forte primo ministro modernizzatore le cui iniziali sono AB, uno spin doctor apparentemente spietatamente cinico, una vecchia regina popolare e (come risulta) astuta, un impopolare erede al trono, e una principessa morta.
L’agenda segreta del primo ministro è quella di dichiarare una repubblica d’Inghilterra con se stesso come presidente, di cedere il Regno Unito di Scozia e Galles, e di incoraggiare l’unificazione dell’Irlanda. Questa trama è bizzarramente combinata con un’altra agenda: creare gli Stati Uniti d’Europa, sempre con il primo ministro come presidente. La politica interna è lasciata allo spin doctor, il cui cinismo è trasformato dall’amore di una brava donna, una giovane funzionaria di un ufficio privato che si scopre conoscere personalmente Bill e Hilary (sic) Clinton e che aiuta a sventare il complotto. Lungo la strada, lo spin doctor si trasforma da “l’uomo più brutto della politica” mal vestito, che usa la sua presunta omosessualità come copertura per sedurre le mogli dei suoi nemici, in un uomo di mezzi indipendenti, immacolato e proprietario di una Bentley.
Jim Waits presta poca attenzione alla caratterizzazione di quelli che possono essere descritti solo come i detenuti del suo libro. Infatti, gli unici passaggi che descrivono qualcosa in qualche tipo di dettaglio sono descrizioni amorevoli di Rio de Janeiro e Buenos Aires, e diverse scene di sesso. La sfilata di personaggi di cartone con motivazioni implausibili rende la lettura poco soddisfacente. Eppure solleva, anche se non affronta, tre questioni correlate che sono cruciali nel contesto del governo reale.
In primo luogo, quanto è vera l’affermazione dello spin doctor che l’opinione pubblica è quasi esclusivamente modellata dai media? In secondo luogo, quanto è vero che la politica è un’occupazione in cui i praticanti sono, come tutti quelli di questo romanzo, guidati quasi interamente da strette preoccupazioni carrieristiche? In terzo luogo, quanto è vero che il governo, come il fittizio Democratic Labour, è in grado di determinare la propria agenda, in gran parte slegata dai problemi economici e interni del mondo reale? Naturalmente, queste domande non possono essere affrontate qui, se non per notare che la risposta a tutte e tre è “Non molto”. Ma il fatto che un romanzo possa essere costruito intorno ai presupposti contrari è simbolico della mancanza di stima in cui è tenuto il sistema politico britannico contemporaneo; abbiamo bisogno di riabilitare la politica, perché le alternative sono troppo raccapriccianti da contemplare.