88 anni, Mofat Ngwabi, originario dello Zimbabwe, è arrivato in Kenya nel 1973 come missionario della chiesa Gospel of God. Lui, i suoi sette figli, nove nipoti e due pronipoti – sono apolidi. Senza nazionalità. UNHCR/T.Jones
88 anni, Mofat Ngwabi, siede comodamente sulla sua sedia nella sua casa a Kinoo nella periferia di Nairobi, Kenya. Mofat è uno dei pochi ancora in vita che ricorda quando il popolo Shona dello Zimbabwe arrivò in Kenya negli anni ’60.
Faceva parte di un gruppo di circa 100 missionari, che vennero a stabilire la Chiesa del Vangelo di Dio. Al loro arrivo furono incontrati e accolti dal primo presidente del Kenya post-indipendenza, Jomo Kenyatta. Mofat guarda con orgoglio una foto dell’incontro con il presidente che è appesa al muro nell’ufficio della chiesa.
Nonostante l’incontro e la benedizione del presidente per fondare una chiesa, gli Shona non potevano essere registrati perché secondo la prima costituzione post-indipendenza, non vi era alcuna disposizione per le persone non di discendenza keniota per essere registrati come cittadini.
“Non possiamo godere dei servizi di cui godono i cittadini”
Questo li ha resi oggi apolidi, cioè senza cittadinanza o nazionalità keniota.
Come risultato, Mofat, i suoi sette figli, nove nipoti e due pronipoti che sono tutti nati in Kenya, non hanno mai avuto il diritto di diventare cittadini. Anche se parlano la lingua nazionale, lo swahili, e il dialetto locale kikuyu parlato dove vivono. Anche se sono profondamente radicati nella cultura del Kenya, dal cibo alla musica. Anche se nessuno di loro ha mai lasciato il Kenya per viaggiare all’estero, il fatto di non essere riconosciuti come kenioti ha lasciato nella famiglia un profondo senso di disperazione.
88 anni, Mofat Ngwabi, sta con sua moglie, Mangwenya, e il resto della sua famiglia vicino alla loro casa nella periferia di Nairobi, Kenya. UNHCR/T.Jones
È un problema che riguarda oltre 3.500 persone Shona in Kenya che discendono dalla chiesa.
Mike Moyo, un falegname nella vicina contea di Kiambu appena fuori la capitale, è nella stessa situazione di Mofat. Tutti i 10 figli e i 7 nipoti di Mike sono nati in Kenya ma sono apolidi.
“Siamo come morti che camminano”
“Tutti i miei 10 figli non hanno il certificato di nascita, e i più grandi non hanno la carta d’identità. È terribile”, dice Mike.
Ramik, il figlio maggiore di Mike dice che gli effetti sono stati terribili.
“Non possiamo godere dei servizi di cui godono i cittadini. Non abbiamo il mobile banking e anche andare in ospedale è una sfida. I certificati di nascita sono necessari per l’iscrizione alla classe 8 per i nostri figli che frequentano la scuola primaria, così a volte siamo costretti a ‘comprare’ i genitori perché i nostri figli possano continuare l’istruzione. Non possiamo nemmeno risparmiare”
E così il circolo vizioso dell’apolidia continua per la prossima generazione nella famiglia Moyo.
Ramik Mofat Moyo, 32 anni, è il figlio di Mike Moyo. Anche lui è un falegname. Ramik, come i suoi figli, è nato e cresciuto in Kenya. Sono tutti apolidi. UNHCR/T.Jones
“Tutti i miei 10 figli non hanno il certificato di nascita, e i più grandi non hanno la carta d’identità. È terribile”. Mike Moyo, 61 anni, è un falegname, un’abilità che ha ereditato dai suoi antenati Shona dello Zimbabwe. UNHCR/T.Jones
Alcuni Shona hanno sposato dei kenioti, il che ha aiutato i loro figli ad acquisire documenti come i certificati di nascita. Ma gli Shona dicono che sposare i cittadini non è la soluzione. Dicono che meritano di essere riconosciuti come kenioti.
La situazione ha significato che migliaia di Shona non possono essere impiegati formalmente, e quindi sopravvivono facendo lavori informali.
Molte donne Shona intrecciano cesti e fanno lavori di perline per mettere il cibo in tavola, dicono. La mancanza di documenti le ha costrette a vendere i loro prodotti per molto meno di quanto valgano, attraverso intermediari.
Ben Kapota, un padre apolide di otto figli che vive a Kiambu dice:
“Sono stato arrestato diverse volte perché mi muovevo senza carta d’identità. I membri della mia comunità hanno dovuto pagare la cauzione. Siamo come morti che camminano. Se ci succede qualcosa lontano da casa, la gente non sarà in grado di identificarti solo perché non hai una carta d’identità.”
“Sono stato arrestato diverse volte per essermi spostato senza carta d’identità.”
“Se avessi una carta d’identità oggi, la prima cosa che farei sarebbe prendere una patente di guida, poi prendere un passaporto e iniziare a fare affari”. Dice Ben.
Incolume, Ben Kapota, siede con sua figlia Blessing in un laboratorio di falegnameria gestito dalla comunità Shona nella città di Kiambaa alla periferia di Nairobi, Kenya. UNHCR/T.Jones
Le donne Shona intrecciano cesti sul pavimento della loro casa nella città di Githurai alla periferia di Nairobi, Kenya. È la loro unica fonte di reddito. La campagna #IBelong dell’UNHCR è impegnata a porre fine all’apolidia per circa 10 milioni di persone nel mondo. UNHCR/T.Jones
Nonostante la situazione, molti Shona sono comunque speranzosi che il governo keniota dia loro presto la cittadinanza.
I leader della comunità Shona e l’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati in Kenya, hanno incontrato il governo per cercare di trovare una soluzione per gli Shona.
La comunità Makonde, originaria del Mozambico, è stata recentemente riconosciuta dal governo come keniota e le è stata data la nazionalità, come 43a tribù del Kenya. Questo atto ha ravvivato le speranze che ci sia una soluzione rapida per gli Shona.
Leggi il nostro rapporto sugli apolidi, “Questa è la nostra casa”: Minoranze apolidi e la loro ricerca di cittadinanza” qui. Il rapporto è stato pubblicato in occasione del terzo anno della campagna #IBelong per porre fine all’apolidia.