Benedetto Croce ha scritto che Gentile “… ha l’onore di essere stato il più rigoroso neo-egeliano di tutta la storia della filosofia occidentale e il disonore di essere stato il filosofo ufficiale del fascismo in Italia”. La sua base filosofica per il fascismo era radicata nella sua comprensione dell’ontologia e dell’epistemologia, in cui trovava una giustificazione per il rifiuto dell’individualismo e l’accettazione del collettivismo, con lo stato come luogo ultimo di autorità e lealtà al di fuori del quale l’individualità non aveva alcun significato (e che a sua volta aiutava a giustificare la dimensione totalitaria del fascismo).
La relazione concettuale tra l’idealismo attuale di Gentile e la sua concezione del fascismo non è evidente. La presunta relazione non sembra essere basata sulla deducibilità logica. Cioè, l’idealismo attuale non comporta un’ideologia fascista in nessun senso rigoroso. Gentile godette di fruttuosi rapporti intellettuali con Croce dal 1899 – e in particolare durante la loro redazione congiunta de La Critica dal 1903 al 1922 – ma ruppe filosoficamente e politicamente da Croce nei primi anni ’20 per l’abbraccio di Gentile al fascismo. (Croce valuta il loro disaccordo filosofico in Una discussione tra filosofi amici in Conversazioni Critiche, II.)
In definitiva, Gentile prevedeva un ordine sociale in cui gli opposti di tutti i tipi non dovevano essere considerati come esistenti indipendentemente l’uno dall’altro; che la ‘pubblicità’ e la ‘privatezza’ come interpretazioni generali erano attualmente false in quanto imposte da tutti i precedenti tipi di governo, compresi il capitalismo e il comunismo; e che solo il reciproco stato totalitario del corporativismo, uno stato fascista, poteva sconfiggere questi problemi che sono fatti dal reificare come una realtà esterna ciò che è in effetti, per Gentile, solo una realtà nel pensiero. Mentre era comune nella filosofia del tempo vedere il soggetto condizionato come astratto e l’oggetto come concreto, Gentile postulava (dopo Hegel) il contrario, che il soggetto è concreto e l’oggetto una mera astrazione (o meglio, che ciò che veniva convenzionalmente chiamato “soggetto” è in realtà solo oggetto condizionato, e che il vero soggetto è l’atto d’essere o essenza dell’oggetto).
Gentile fu, per il suo sistema attualista, una notevole presenza filosofica in tutta Europa nel suo tempo. Alla sua base, l’idealismo di Gentile affermava il primato dell'”atto puro” del pensare. Questo atto è fondamentale per tutta l’esperienza umana – crea il mondo fenomenico – e comporta un processo di “consapevolezza riflessiva” (in italiano, “l’atto del pensiero, pensiero pensante”) che è costitutivo dell’Assoluto e si rivela nell’educazione. L’enfasi di Gentile nel vedere la Mente come l’Assoluto segnalava la sua “rinascita della dottrina idealista dell’autonomia della mente”. Inoltre collegava il suo lavoro filosofico alla sua vocazione di insegnante. Nell’idealismo attuale, quindi, la pedagogia è trascendentale e fornisce il processo attraverso il quale l’Assoluto si rivela. La sua idea di una verità trascendente al di sopra del positivismo ha ottenuto un’attenzione particolare sottolineando che tutti i modi di sensazione prendono solo la forma di idee all’interno della mente; in altre parole, sono costruzioni mentali. Per Gentile, per esempio, anche la correlazione della funzione e della posizione del cervello fisico con le funzioni del corpo fisico era semplicemente una creazione coerente della mente, e non del cervello (esso stesso una creazione della mente). Osservazioni come questa hanno portato alcuni commentatori a considerare la filosofia di Gentile come una sorta di “solipsismo assoluto”, esprimendo l’idea “che solo lo spirito o la mente sono reali”.
L’idealismo attuale tocca anche idee che riguardano la teologia. Un esempio di idealismo attuale in teologia è l’idea che, sebbene l’uomo possa aver inventato il concetto di Dio, ciò non rende Dio meno reale in nessun senso possibile, purché non si presupponga l’esistenza di Dio come astrazione, e tranne nel caso in cui si presuppongano qualità su ciò che l’esistenza effettivamente comporta (cioè l’essere inventata a parte il pensiero che la realizza). Benedetto Croce obiettò che l'”atto puro” di Gentile non è altro che la volontà di Schopenhauer.
Pertanto, Gentile propose una forma di quello che chiamò “Immanentismo assoluto” in cui il divino era la concezione presente della realtà nella totalità del proprio pensiero individuale come processo evolutivo, crescente e dinamico. Più volte accusato di solipsismo, Gentile sosteneva che la sua filosofia fosse un Umanesimo che avvertiva la possibilità di nulla al di là di ciò che si collimava nella percezione; il pensiero umano del sé, per comunicare come immanenza è essere umano come se stesso, faceva un’empatia coesa del sé stesso, senza una divisione esterna, e quindi non modellato come oggetto al proprio pensiero. Mentre il solipsismo si sentirebbe intrappolato nella realizzazione della propria solitudine, l’attualismo rifiuta tale privazione ed è espressione dell’unica libertà possibile all’interno delle contingenze oggettive, dove il Sé trascendentale non esiste nemmeno come oggetto, e la co-sostanziazione dialettica degli altri necessaria per comprendere il sé empirico sono sentiti come veri altri quando si scopre essere la soggettività non relativistica di quel sé intero ed essenzialmente unificata con lo spirito di tale sé superiore in actu, dove gli altri possono essere veramente conosciuti, piuttosto che pensati come monadi senza finestre.
Fasi del suo pensieroModifica
Diversi sviluppi del pensiero e della carriera di Gentile hanno contribuito a definire la sua filosofia, tra cui:
- la definizione dell’Idealismo Attuale nella sua opera Teoria dell’Atto Puro (1903);
- il suo sostegno all’invasione della Libia (1911) e all’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale (1915);
- la sua disputa con Benedetto Croce sull’inevitabilità storica del fascismo;
- il suo ruolo di ministro dell’istruzione (1922-24);
- la sua convinzione che il fascismo potesse essere asservito al suo pensiero filosofico, insieme alla sua raccolta di influenza attraverso il lavoro di studenti come Armando Carlini (leader dei cosiddetti “gentiliani di destra”) e Ugo Spirito (che applicò la filosofia di Gentile ai problemi sociali e aiutò a codificare la teoria politica fascista); e
- il suo lavoro sull’Enciclopedia Italiana (1925-43; prima edizione finita nel 1936).
La definizione e la visione di Gentile del fascismoModifica
Gentile considerava il fascismo il compimento degli ideali risorgimentali, in particolare quelli rappresentati da Giuseppe Mazzini e dal partito della Destra storica.
Gentile cercò di fare della sua filosofia la base del fascismo. Tuttavia, con Gentile e con il fascismo, il “problema del partito” esisteva in virtù del fatto che il “partito” fascista, in quanto tale, nasceva organicamente piuttosto che da un tratto o da una dottrina socio-politica prestabilita. Questo complicava la questione per Gentile in quanto non lasciava consenso a nessun modo di pensare tra i fascisti, ma ironicamente questo aspetto era nella visione di Gentile di come una dottrina di stato o di partito dovesse vivere la sua esistenza: con una crescita organica naturale e un’opposizione dialettica intatta. Il fatto che Mussolini desse credito ai punti di vista di Gentile attraverso la sua paternità aiutava ad avere una considerazione ufficiale, anche se il “problema del partito” continuava ad esistere anche per Mussolini.
Gentile si collocava all’interno della tradizione hegeliana, ma cercava anche di prendere le distanze da quelle opinioni che considerava erronee. Criticò la dialettica di Hegel (di Idea-Natura-Spirito), e propose invece che tutto è Spirito, con la dialettica che risiede nel puro atto di pensare. Gentile riteneva che la concezione di Marx della dialettica fosse il difetto fondamentale della sua applicazione alla sistematica. Per il neo-egeliano Gentile, Marx aveva fatto della dialettica un oggetto esterno, e quindi l’aveva astratta rendendola parte di un processo materiale di sviluppo storico. La dialettica per Gentile poteva essere solo qualcosa di precetto umano, qualcosa che è parte attiva del pensiero umano. Era, per Gentile, soggetto concreto e non oggetto astratto. Questo Gentile esponeva come gli uomini pensano in forme in cui un lato di un doppio opposto non poteva essere pensato senza il suo complemento.
“L’alto” non sarebbe conosciuto senza il “basso” e il “caldo” non potrebbe essere conosciuto senza il “freddo”, mentre ciascuno è un opposto è co-dipendente per la realizzazione dell’uno o dell’altro: queste erano creazioni che esistevano come dialettica solo nel pensiero umano e non potevano essere confermate al di fuori di esso, e soprattutto non si poteva dire che esistessero in una condizione esterna al pensiero umano come materia indipendente e un mondo al di fuori della soggettività personale o come realtà empirica quando non concepite in unità e dal punto di vista della mente umana.
Per Gentile, l’esteriorizzazione della dialettica da parte di Marx era essenzialmente un misticismo feticistico. Sebbene vista così esternamente, ne seguiva che Marx poteva poi fare affermazioni su quale stato o condizione la dialettica esistesse oggettivamente nella storia, a posteriori di dove fosse l’opinione di ogni individuo mentre si rapportava all’insieme totalizzato della società. cioè Le persone stesse potrebbero, secondo tale visione, essere ideologicamente ‘indietro’ e lasciate indietro rispetto allo stato attuale della dialettica e non essere esse stesse parte di ciò che sta attivamente creando la dialettica così com’è.
Gentile pensava che questo fosse assurdo, e che non ci fosse un oggetto dialettico ‘positivo’ indipendentemente esistente. Piuttosto, la dialettica era naturale allo stato, così com’è. Nel senso che gli interessi che compongono lo stato stanno componendo la dialettica attraverso il loro processo organico vivente di tenere opinioni opposte all’interno di quello stato, e unificate in esso. Essendo la condizione media di quegli interessi in quanto esistono. Anche la criminalità è unificata come una dialettica necessariamente da sussumere nello stato e una creazione e uno sbocco naturale della dialettica dello stato positivo in quanto tale.
Questa visione (influenzata dalla teoria hegeliana dello stato) giustificava il sistema corporativo, in cui gli interessi individualizzati e particolari di tutti i gruppi divergenti dovevano essere incorporati personalmente nello stato (“Stato etico”), ciascuno da considerare un ramo burocratico dello stato stesso e a cui veniva data una leva ufficiale. Gentile, piuttosto che credere che il privato sia inghiottito sinteticamente all’interno del pubblico come vorrebbe Marx nella sua dialettica oggettiva, credeva che pubblico e privato fossero a priori identificati l’uno con l’altro in una dialettica attiva e soggettiva: l’uno non poteva essere sussunto completamente nell’altro in quanto essi sono già prima lo stesso. In tal modo ciascuno è l’altro a modo suo e dalla sua posizione rispettiva, relativa e reciproca. Eppure entrambi costituiscono lo stato stesso e nessuno dei due è libero da esso, nulla è mai veramente libero da esso, lo stato (come in Hegel) esiste come una condizione eterna e non come un insieme oggettivo e astratto di valori atomistici e di fatti dei particolari su ciò che governa positivamente il popolo in un dato momento.
Si può dire che lo stato è una condizione eterna e non un insieme oggettivo e astratto di valori atomistici e di fatti dei particolari su ciò che governa positivamente il popolo in un dato momento.