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voce n.1 maggio 2013 n.2 feb 2017

Ci sono due voci in questa pagina:
1. Capua (direttamente sotto) 2. La Chiesa di Santa Croce & San Prisco/la Cappella di Santa Matrona

Capua, un breve racconto di due città

C’è una certa confusione sul nome “Capua”, anche tra gli italiani. Diciamo che si va a “Capua” perché si è interessati al luogo che, tra il VII secolo a.C. e l’VIII secolo d.C., era la più grande città(!) dell’Italia antica dopo Roma. Aveva un anfiteatro (immagine, a destra) grande quasi quanto il Colosseo ed era la capitale di quella che i romani chiamavano Campania Felix (Campania Felice). Tu vuoi vedere tutto questo; così, vai alla città che oggi si chiama Capua, a meno di 20 miglia -quando Felix la Felice Campania vola- a nord di Napoli. Ci vai e scopri che sei proprio nel posto sbagliato.

Devi tornare un po’ indietro verso sud, forse circa 3 miglia, fino alla città chiamata Santa Maria Capua Vetere. Lì troverete l’antica Capua e le rovine del grande anfiteatro. Il sito originale era un insediamento villanoviano (la prima cultura dell’età del ferro dell’Italia centrale e settentrionale, dal nome del sito archeologico tipo, Villanova, vicino a Bologna). La prima vera città fu poi etrusca, fondata intorno all’800 a.C. e fu il più importante centro etrusco della Campania interna. Il nome stesso è etrusco, Capeva, e significava Città delle Paludi. (Vedi Etruschi in Campania). L’area fu poi conquistata dai Sanniti di lingua osca, i feroci nemici dei Romani e poi finalmente presa dai Romani quando il potere nell’Italia centro-meridionale si spostò irresistibilmente verso Roma. All’inizio della Seconda Guerra Punica (218 a.C. – 201 a.C.) nelle lotte tra Roma e Cartagine, Capua era una potenza militare solo leggermente meno importante di Roma o Cartagine stesse. La città si ribellò ad Annibale e divenne la base del potere cartaginese in Italia. Per la sua ribellione Capau fu distrutta nel 211 a.C. dai Romani. In italiano moderno, si usa ancora l’espressione “darsi agli Ozi di Capua” -l’accidia o l’ozio di Capua- per significare che si sta vivendo una vita pigra e indolente, questo in riferimento all’idea che l’esercito di Annibale si sia ammorbidito così tanto vivendo nel grembo del lusso capuano che non fu in grado di continuare a combattere efficacemente. Probabilmente non è vero, ma ci sono ancora rovine delle molte terme della zona.

(Questo è l’unico proverbio su Capua che conosco, anche se ne ricordo uno su Cartagine: Carthago delenda est . Catone il Vecchio (234-149 a.C.) lo usava in ogni occasione, come in “Per favore passami il pane. Cartagine deve essere distrutta”. Forse è perché mi hanno operato al ginocchio destro quando ero più giovane, ma pensavo che la parola fosse “cartilagine”, non “Cartagine”. Ho passato anni a chiedermi perché Catone terminasse tutti i suoi discorsi dicendo ai senatori romani che dovevano farsi sistemare le ginocchia.)

Una chiesa cristiana fu fondata a Capua nel quinto secolo e chiamata Santa Maria Maggiore, il nome con cui la città stessa fu indicata nel Medioevo. (La città non divenne Santa Maria Capua Vetere fino all’unità d’Italia nel 1861.)
Quando l’impero romano si dissolse e l’Italia fu invasa da Goti, Greci Bizantini e Longobardi, Capua subì grandi danni e fu infine quasi totalmente distrutta dagli invasori Saraceni nell’841 d.C. A quel punto gli abitanti fuggirono a poche miglia di distanza verso il vecchio porto fluviale sul Volturno, chiamato Casilinum. Si trova a breve distanza a NW dell’antica Capua ed è circondata su tre lati dal fiume. I rifugiati la rifondarono con il nome moderno di Capua. Quella che oggi è Santa Maria Capua Vetere (l’antica Capua) si è poi frammentata in piccole frazioni costruite intorno a residenze di campagna e chiese. La gente in realtà usava i monumenti antichi (come l’anfiteatro) come materiale da costruzione. (Dei circa 90 archi originali dell’anfiteatro, ne rimangono pochissimi). Questo cambiò alla fine del 1700 quando i governanti borbonici del Regno di Napoli si interessarono alla grande storia archeologica della zona. Oggi rimangono poche tracce degli antichi edifici: l’anfiteatro, il criptoportico (passaggio coperto), il teatro, le terme, il tempio di Mitra, ecc. Fortunatamente, ci sono alcuni bei musei. Uno è il Museo Provinciale della Campania, chiamato dall’archeologo Amedeo Maiuri “il più significativo museo dell’antica civiltà italiana in Campania”. Si trova nella moderna città di Capua. Un altro è il Museo dei Gladiatori a Santa Maria Capua Vetere.

foto: Rico Heil
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2. Feb 12,2017

Se non avete letto il primo articolo di questa pagina (direttamente sopra) sarebbe utile farlo.

La Chiesa di Santa Croce e San Prisco (SCSP)
e, all’interno di questa,
La Cappella di Santa Matrona

La provincia di Caserta contiene oggetti di estremo interesse nello studio del paleocristianesimo (definito grossomodo come i primi cinque secoli della fede cristiana). Questa si trova nel comune di San Prispo, circa a metà strada tra Capua e Santa Maria Capua Vetere.
Rispetto a quei 1500 anni che sono passati, il grande edificio giallo che si vede oggi (immagine, a destra) e l’adiacente grande campanile sono relativamente recenti. Sono attribuiti a Luigi Vanvitelli (la sua mastodontica Reggia di Caserta è a soli 5 km a sud-est). La facciata di SCSP) è datata al 1763. (La sua chiesa ha sostituito una precedente del 1300). La facciata è rivolta a ovest ed è in stile neoclassico. La facciata della chiesa è divisa in due ordini da un frontone leggermente sporgente (la parte superiore triangolare). Ci sono tre ingressi alle tre navate all’interno della chiesa stessa. La piazza di fronte è rialzata rispetto al livello della strada circostante e al livello di un antico cimitero romano. (L’intera area sotterranea è nota per aver contenuto molti antichi siti funerari romani.)
La navata centrale termina nell’abside. Le due navate laterali sono fiancheggiate da santuari devozionali e statuaria. Il massiccio pulpito di legno è datato al 1750. Particolarmente interessante è la cappella di Santa Matrona all’interno della chiesa. È ciò che rimane della basilica paleocristiana dedicata a San Prisco. Isolato dall’edificio principale è il grande campanile rettangolare a tre livelli. Ogni livello ha archi e finestre. La chiesa di SCSP è stata soggetta a continui episodi di restauro, sia della struttura che degli oggetti religiosi interni sia antichi che moderni. Gli episodi di danneggiamento sono stati numerosi e comprendono terremoti (fino al 1980) e danni della seconda guerra mondiale (l’area è adiacente al percorso della ritirata tedesca e dell’inseguimento alleato da Napoli a Roma (1943-45).

Tecnicamente, l’intero complesso della chiesa e degli edifici esterni è la Basilica Arcipretale di Santa Croce e San Prisco (cioè la sede dell'”arciprete” per le due zone, che costituiscono un’unica parrocchia). L’indirizzo è via Starza 5 a San Prisco, Caserta. San Prisco confina con i comuni di Capua, Casagiove, Casapulla, Caserta, Curti, e Santa Maria Capua Vetere.
L’interesse paleocristiano, come detto, è dovuto alla presenza all’interno della chiesa della cappella di Santa Matrona (riportata sotto); cioè ciò che resta della basilica paleocristiana dedicata a San Prisco. Alcuni storici collocano la costruzione originale di quella prima basilica all’anno 506, basandosi su un’iscrizione trovata sul posto. In ogni caso, la maggior parte delle opinioni convergono sulla prima metà di quel secolo come probabile periodo di costruzione.

La cappella di Santa Matrona

C’è una notevole leggenda legata alla costruzione della cappella all’interno della chiesa. Si dice che Matrona fosse una nobildonna originaria della Lusitania (l’attuale Portogallo) e che avesse scoperto i resti del primo santo vescovo di Capua, San Prisco. La leggenda dice che le fu concesso un miracolo da San Prisco; era malata e andò a Capua sulla tomba di Prisco, il primo santo vescovo di Capua, e fu miracolosamente guarita. Si dice che abbia trovato l’antico sepolcro di San Prisco, che, nel corso del tempo, andò nuovamente perduto.
Ha trovato la tomba vicino alla cosiddetta “conocchia” (una conocchia è quel lungo strumento con un fuso usato per tenere la fibra non filata mentre viene lavorata in filo, ma qui si riferisce al nome di un antico monumento funerario romano sulla Via Appia). Quella scoperta portò alla costruzione di una basilica in onore di San Prisco. Matrona vi rimase per il resto della sua vita, lei stessa onorata come santa e invocata per proteggere dalle epidemie intestinali, dai dolori del parto e dal colera. I resti della sua cappella, la primitiva basilica paleocristiana dedicata a San Prisco, si troverebbero quindi nella chiesa gialla che vedete qui.

La cappella di Santa Matrona è un sacello funerario (santuario) È rettangolare con colonne sormontate da antichi capitelli agli angoli. Nella parte principale della chiesa, nell’abside (la proiezione a cupola o a volta alla fine della chiesa), c’è anche una vasca di marmo che serviva da altare. La tradizione dice che conteneva i resti della santa nobildonna. È molto probabile che la vasca sia stata presa da una villa dell’antica Capua. Sulla volta della cappella e su tre delle quattro lunette ci sono scintillanti decorazioni a mosaico (nella foto) in cui i colori sono esaltati dall’uso dell’oro, il tutto su uno sfondo blu. Quattro palme, simbolo del martirio, seguono le linee della volta.
Le quattro sezioni della volta mostrano tralci di vite, grappoli d’uva e due uccelli che beccano l’uva. I mosaici decorativi nelle lunette che chiudono gli archi, tuttavia, sono solo parzialmente intatti; una delle lunette è completamente scomparsa e un’altra conserva solo la parte sinistra. La lunetta sopra l’entrata mostra un busto di Cristo benedicente con le lettere apocalittiche alfa e omega. Il volto di Cristo è nella tradizione cristiana orientale.
I mosaici sono nella grande tradizione musiva paleocristiana di influenza bizantina che fiorì in Campania, assolutamente comparabile alle tradizioni di Roma, Ravenna e Milano. Datarli esattamente non è così facile, ma le stime sembrano convergere sugli anni dall’inizio del 500 all’inizio del 600. Non c’è, comunque, nessun nimbo (aureola) intorno alle teste dei simboli degli evangelisti; questo, più gli elementi decorativi nella tradizione pienamente classica, sostiene la tesi di una datazione precoce, la prima metà del 500.

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