Nell’agire per rimuovere la principale lamentela americana, i Rockinghamiti non fecero alcuna concessione costituzionale ai coloni. Dicevano che gli americani avrebbero dovuto rispettare la legge parlamentare, e desideravano che il potere del Parlamento fosse solennemente affermato in una risoluzione formale, come fecero i molti nemici dell’abrogazione dello Stamp Act. Il risultato fu il Declaratory Act del marzo 1766, approvato da maggioranze schiaccianti nonostante l’opposizione di Pitt; in effetti esso proclamava che l’autorità del Parlamento in America era la stessa che aveva in Gran Bretagna. Il ministero accoppiò all’abrogazione anche la richiesta che le assemblee coloniali compensassero i sostenitori dello Stamp Act nelle colonie che avevano subito perdite di proprietà come risultato dell’azione della folla. Inoltre, nel Revenue Act del 1766, il ministero assicurò la riduzione del dazio sulla melassa da tre pence a un penny per gallone, estendendolo, tuttavia, a coprire la melassa britannica e quella straniera. Mentre questo passo fu finanziariamente piacevole per gli americani, si dovrebbe osservare che il dazio rivisto, raccolto sia sulla melassa britannica che su quella straniera, assomigliava molto a una tassa per le entrate. Il popolo di Rockingham accettò quindi di accantonare i dazi di bollo e di permettere agli americani di commerciare con le isole straniere nelle Indie Occidentali, ma di non fare altre concessioni sostanziali di fatto o di teoria.
Anche così, l’abrogazione della tassa di bollo fu aspramente contrastata a Londra. Per placare i nemici dell’abrogazione, il ministero definì la posizione costituzionale americana riguardo alla tassazione nel modo più ristretto possibile. Almeno alcune delle proteste americane contro la politica di Bute-Bedford-Grenville, in particolare quella della camera bassa dell’assemblea di New York, avevano condannato la tassazione parlamentare di qualsiasi tipo per le entrate come incostituzionale. Il ministero preferì credere che i coloni si sarebbero accontentati della rimozione dei dazi di bollo. Anche se i Rockingham mantennero le loro concessioni al minimo e anche se fecero tutto il possibile per ridurre l’importanza di quelle concessioni, l’abrogazione sarebbe stata sconfitta se fosse stata contrastata da Giorgio III. Il re disse ai suoi seguaci personali che ricoprivano cariche legate al ministero che dovevano in onore sostenerla; consigliò agli altri suoi amici che erano liberi di fare come volevano. Il risultato fu una vittoria di stretta misura per il ministero, con i Comuni e i Lord che diedero il loro riluttante consenso.
Le rimostranze degli americani non furono affatto rimosse del tutto, e le concessioni che furono fatte furono offerte con riluttanza. Ciononostante, i coloni molto generalmente le accettarono come una soluzione di base della crisi. Celebrarono con gioia l’abrogazione e riaffermarono con entusiasmo la loro fedeltà alla Gran Bretagna. Ripresero anche con entusiasmo a comprare beni dai mercanti di Londra, Bristol e Liverpool. Erano felici di uscire dalla crisi così facilmente e con tanto merito. Per un certo tempo ebbero poco da dire sulle lamentele che continuavano. Naturalmente, non sarebbero stati permanentemente soddisfatti della situazione com’era nella primavera del 1766, le loro idee dei loro diritti all’interno dell’impero si sarebbero inevitabilmente allargate con il passare del tempo, e ulteriori concessioni da parte della Gran Bretagna sarebbero state necessarie per conservare una pace più o meno permanente all’interno dell’impero. Con il tempo, i Rockingham avrebbero potuto stabilire un principio fondamentale di conciliazione nella politica britannica. Non ne ebbero l’opportunità, essendone privati da Pitt e Giorgio III, che li cacciarono dal potere e stabilirono il ministero di “Tutti i Talenti” nel luglio 1766.
E’ difficile dire se la Gran Bretagna e l’America avrebbero trovato un modus vivendi se Pitt avesse goduto sia di salute che di autorità per alcuni anni dopo il 1766. La maestà della Gran Bretagna significava molto per lui, e il linguaggio calorosamente amichevole che si era abituato a usare nei confronti dei coloni non costituisce una prova che non avrebbe intrapreso misure che gli erano ripugnanti. Certamente, la posizione costituzionale che aveva assunto non precludeva passi odiosi per gli americani. Pitt contribuì inavvertitamente a portare in carica gli uomini inclini alla filosofia americana di Bute, Bedford e Grenville. Alcuni storici hanno osservato che loro e il loro monarca erano un po’ più moderati nei confronti dell’America di quanto sia stato generalmente riconosciuto. Tuttavia, questo nuovo gruppo di titolari di uffici, tra cui Charles Townshend e il terzo conte di Hillsborough, fornì l’impulso nel ministero di “Tutti i Talenti” verso un secondo tentativo di tassare i coloni per le entrate e anche verso l’uso dell’esercito per la repressione in America. Anche se l’amico di Pitt, Augustus Henry Fitzroy, 3° duca di Grafton, continuò come capo fino al 1770, la gente di Pitt non controllò mai realmente il ministero. Il loro capo era troppo malato per fornire la leadership e si dimise dal gabinetto nel 1768. Ad eccezione del conte di Shelburne, non protestarono molto vigorosamente contro le misure governative che portarono ad una seconda crisi anglo-americana.